… un modo di essere, vedere, sentire…

S. Alberto – il Padre rifondatore

  • introduzione di padre Giuliano Bettati, ocd.

            La prima sorpresa fu riscoprire la figura affascinante di S. Alberto. Nuovi studi hanno illuminato questo personaggio, che ha speso il meglio di sé in aiuto a Papi e vescovi, a città e Ordini religiosi… per mettere pace e riconciliazione dovunque ci fossero conflitti, liti e rumori di guerra.

            Dopo pochi mesi che è vescovo di Bobbio è chiamato a Vercelli, ove immediatamente, in sintonia con la politica di Papi che lo stimavano, collabora al recupero delle fazioni politiche sin allora schierate con l’imperatore, in particolare a mantenere in comunione con Roma il movimento degli umiliati, diffuso in tutta l’Alta Italia, salvandone le caratteristiche di fraternità, laicità, novità di proposta socio-culturale. Erano, infatti, già posti nell’elenco ufficiale degli eretici, ma in pochi anni la  sua nuova “politica ecclesiastica” li rielenca tra i gruppi ortodossi (1199/1201).

            Il suo principio ispiratore è la “vaccinazione”, cioè la volontaria e consapevole contaminazione con i germi patogeni aggressori del corpo socioecclesiale. E’ il principio di “inclusione”, che tende a mantenere nella chiesa e nella società gli impulsi vitali tendenzialmente sovversivi e centrifughi della nuova cultura nascente in tutta Europa, per valorizzarne la spinta propulsiva, integrandola nel contesto della comunità cristiana. Altri contemporanei invece applicarono il principio del rigetto “antibiotico”, espellendo ogni novità o provocazione, ritenendola solo patogena… Ma questa reazione di rigetto, oltre a provocare l’eliminazione (spesso fisica, purtroppo) dei fermenti tendenzialmente ereticali,  induce nel corpo ecclesiale riflessi aggressivi ed escludenti, che impigriscono il corpo ecclesiale, e tarpano la capacità di produrre anticorpi e intorpidiscono la fantasia creativa. La repressione dei catari ed albigesi, ad esempio, fu tragica e sanguinosa.

“il cambio delle armi”

            Il testo biblico emblematico del diverso modo di affrontare evangelicamente i conflitti, S. Alberto lo trova in Efesini 6,10ss. È “il cambio delle armi”, e diventerà il riferimento fondamentale nella Regola Carmelitana.

            Forse nell’immaginario collettivo del tempo stavano già nascendo nuove figure di trasformazione. I “cavalieri armati” al servizio totale del Feudatario, per esempio, si tramutano in cavalieri erranti spinti da predicatori di crociate a dedicare la loro vita ed usare le loro armi per uno scopo e un Signore più nobile: la liberazione del S. Sepolcro di Gesù. Ma anche i poeti provenzali vanno girando di paese in paese a cantare con “nuove armi” una passione più personale e affascinante: la castellana o la donna del cuore, che trasforma il linguaggio feroce della guerra in “dolce stil novo”. Anche loro iniziano una “vita nova”, spinta dalla passione di vivere “in obsequio” del proprio Signore/a, con totale dedizione di tutta la vita.

            La leggenda degli ex militari crociati ritiratisi sul Monte Carmelo e convertiti ormai ad una vita di “totale ossequio a Gesù Cristo”, esprime perfettamente l’incontro tra la sensibilità che spinge questi eremiti a strutturarsi in una formula di vita e la paterna e intelligente esperienza del Legato Pontificio, che aveva impostato tutta la sua vita di superiore religioso e vescovo, riformatore e pacificatore, a favorire la convivenza e la comunione delle istanze nuove dentro l’alveo antico. Ne nasce una Regola sapienziale, dove l’appartenenza alla fraternità (nell’equilibrio tra identità e diversità) è la piattaforma della fedeltà creativa (in tensione dinamica tra passato e futuro).

            Infatti, Alberto ha lungamente meditato e assimilato, come si vede da altri suoi testi legislativi, il testo Paolino:

  • la nostra battaglia non è tra uomini, come purtroppo crediamo, aggredendoci tra di noi, (cristiani o monaci, creature fatte di carne e sangue), ma contro forze di divisione ben più agguerrite e potenti, dominatori misteriosi di questo mondo… (Ef 6,12)
  • occorre rivestirci, dunque, dell’armatura di Dio (11,13) per resistere alle manovre del maligno, per resistere tener fede, cioè, nei giorni difficili, mettendo in opera le nuovi armi che ci sono offerte (id. 14-17):
    • la cintura —  la Verità, che tiene legato insieme tutto
    • la corazza —  la Giustizia, che non lascia punti deboli o ricattabili
    • i calzari ai piedi – per  camminare… spinti dalla passione del Vangelo della Pace…
    • lo scudo – sempre in mano – cioè la fede per spegnere i  dardi infuocati dei nemici
    • l’elmo –  la sicura salvezza donata, che ci protegge la testa
    • la clava dello Spirito – che è la Parola di Dio
  • la vita del nuovo militante ‘pacifista’ cambia completamente: la sua guerra quotidiana è vissuta nella preghiera, che occupa ormai tutta la giornata: vivete nella preghiera e nelle suppliche, pregando in ogni tempo, nello Spirito, poiché solo i doni dello Spirito trasformano i sentimenti del proprio cuore in quelli di Gesù

La più piccola delle Regole monastiche

            In questo testo di Paolo agli Efesini, Alberto ha visto dunque condensato l’annuncio evangelico delle beatitudini, inculturato in quel tempo guerresco. Nasce una nuova comunità di fratelli, ecclesialmente compaginata, per nutrire, confortare, sostenere, correggere, perdonarsi… nel cammino difficile della conversione. Non più per conquistare il Sepolcro del Signore, ma per divenire corpo vivo della sua presenza di annuncio e di salvezza.

            Non è tanto importante la “formula di vita” (lo stile di vita scritto in una regola, pure necessaria). L’importante è offrire un metodo dolce e umile, perché il gruppo vitale che lo assimila e vive, si coinvolga reciprocamente nel cammino e trasmetta la passione a chi domanda (ai postulanti…) di entrare nel circolo vitale di comunione.

            In questo circolo vitale si è introdotti con la consegna di sé al Priore (una consegna che contiene tutti i voti, e dovrà essere verificata con la ricerca condivisa di tutta una vita), fedeli ad un ritmo monastico sobrio e intenso, di gesti e segni comuni, di solitudine e silenzio, di riflessione personale e confronto fraterno sulla situazione della comunità e delle persone – ma soprattutto di preghiera incessante sulla Parola.

            Per questo, la Regola Albertina, più che un testo legislativo, è per noi come la piccola sorgente che ha scavato una traccia in montagna, è diventata un ruscello, poi un fiume, che ha raccolto tanti contributi e scavato valli. si è ora tanto accresciuta e trasformata che non sembra neanche provenire da una piccola fonte, ma questa sgorga ancora viva e impercettibile nel fiume che da lei è nato, lungo tutto il percorso…

S. Paolo, testimone preferito nella Regola

            Nessun fondatore o santo, neppure Maria od Elia, hanno nella Regola un posto fondante come S. Paolo: maestro, esempio, portavoce di Cristo, dottore e predicatore…

            Forse la particolare simpatia di Alberto per S. Paolo ha la sua motivazione (inconscia o meno) proprio in questa caratteristica di testimone più qualificato, nella storia sorgiva della Chiesa, del “cambio delle armi”, del passaggio personale vissuto da Paolo sulla propria pelle. É la “conversione esemplare” del Nuovo Testamento dalla violenza della persecuzione armata dei discepoli di Gesù, all’ ”ossequio” appassionato, totalizzante e radicale, verso il nuovo Signore, assumendo le armi della Parola, per diffondere e difendere la riconciliazione e la pace, fino a essere a sua volta, perseguitato come nessun altro testimone del Vangelo. C’è in Alberto un’identificazione  ideale, di passione e di destinazione, con Paolo Apostolo, che è stato il più convinto ed efficace “facitore di pace” del suo tempo, tra le fazioni antropologicamente inconciliabili di  giudei e pagani, padroni e schiavi, uomini e donne… Anche Alberto muore assassinato, vescovo rimasto sempre – come Paolo – “fuori le mura” della sua profetica città della Pace.

Esperienza di rifondazione di S. Teresa

            Non sarà un caso se, pur priva di sicuri riferimenti storici, la “riforma” sognata da S. Teresa si ispira alla “Regola primitiva”, come afferma spesso nelle sue opere e domanda espressamente al Generale dell’Ordine. Dalla appartenenza al Carmelo ha assimilato il Codice genetico della Regola e ne ha tratto l’ispirazione di cui aveva bisogno, in situazione “conflittuale” altrettanto drammatica, di guerre e di stragi esterne ed interne alla cristianità del suo tempo e del suo paese. Era necessario un altro “cambio delle armi”, silenzioso e potente quanto quello vissuto da Alberto e da lui suggerito agli eremiti del monte Carmelo, come testamento spirituale e nucleo ispiratore per la loro fraternità monastica.

            Filippo II ha radunato un esercito (la grande Armata) per porre rimedio, se possibile con l’eliminazione fisica, a quella che pensava essere la grande calamità socio ecclesiale del suo tempo: gli eretici ( si tratta però di un istinto distruttivo antico e perverso: nel 1492 era iniziato in Spagna, una reazione distruttiva che investe progressivamente i tre nemici “estranei”, cioè mussulmani, ebrei e indios, attraverso l’espulsione, l’abrogazione dei diritti civili o l’eliminazione; ma nel 1517 esplodono le contraddizioni interne, e iniziano interminabili guerre con i nuovi nemici “cristiani”). Teresa: inizia  la fondazione di S. Giuseppe ad Avila, nel 1562, ispirandosi alla mitica “Regola primitiva”, proprio per cercare una risposta alternativa alle stragi e alle guerre di religione che si scatenano in tutta Europa.

“il cambio d’armi” e di strategia di Teresa

            Chi legga con queste premesse l’inizio del Cammino di Perfezione che Teresa sta scrivendo in quel momento, trova riferimenti sorprendenti a questo spirito della Regola di Alberto.

  • Il motivo principale per cui il Signore “ci ha raccolte in questa casa” è questo:

“vedendo che le forze umane sono incapaci contro questo incendio di eresia che si va estendendo di giorno in giorno…( benché  si sia cercato di radunar gente per vedere se si poteva porvi rimedio con la forza delle armi), mi è sembrato necessario usare gli stessi espedienti che si usano in tempo di guerra… Ma perché ho detto questo? Solo per farvi capire, sorelle, che dobbiamo pregare senza fine, perché dei buoni cristiani che stanno chiusi nella fortezza, nessuno passi al nemico, e perché il Signore santifichi i capitani della fortezza e della città…” (CE 3,1-2):

  • Teresa vuol fare qualche cosa per la Chiesa: un nuovo leader raduna un nuovo drappello di combattenti, non mercenari, ma volontari per tutta la vita, in un nuovo castello… (C 1,2-6)
  • “…queste serve fedeli qui riunite”: per sostenere i combattenti e i loro capitani nei lontani campi di battaglia – in un momento storico terribile  (C 3,7) alzano la loro preghiera…
  • Signore, non avete disprezzato le donne, quando andavate pellegrinando sulla terra (CE 3,7-8 ) (i nuovi “pacifici” soldati, della nuova strategia ecclesiale…)
  • Teresa è coinvolta personalmente, con le sue sorelle, nella storia degli uomini: questa povera peccatrice, misero verme, prega: abbiate compassione…(C 3,10)

il codice genetico della Regola

            C’è dunque un’ispirazione di fondo, una parentela spirituale e, dunque, un comune codice genetico, che lega così intimamente, al di là della consapevolezza storica e delle competenze giuridiche, chiunque si riferisca al Carmelo. Quando uno incontra il Signore, “a qualunque stato di vita appartenga o quale che sia la forma di vita religiosa scelta, deve vivere nell’ossequio di Gesù Cristo e servire a lui fedelmente con cuore puro e totale dedizione”, come i Padri hanno sempre insegnato.

            Ma a chi vuole vivere “insieme” questa totale dedizione, come un progetto comune, dice Alberto, e a lui si ispira Teresa, ecco una formula di vita per il passaggio dalle vecchie armi insanguinate della violenza, della competizione, della divisione… alle armi del Vangelo. La Parola, vissuto preghiera continua, l’impegno di vita fraterna, in un intenso ritmo monastico, si amalgamano in un progetto architettonico armonico, con una chiave centrale: l’eucaristia. Dunque, la progressiva trasformazione dell’aggressività in accoglienza evangelica di tutto e tutti, nelle varie epoche e culture, convertendo il proprio cuore dalla relazione conflittuale ed escludente, secondo il principio del rigetto, all’amicizia inclusiva del tratto con Dio e con gli uomini – come Teresa definirà poi la “vita di orazione”.

            Infatti, premessa e preparazione alla vita di orazione, requisito personale dell’orante e clima e respiro del gruppo teresiano è la pace (occorre godere di quella pace interiore ed esteriore che il Signore ci ha tanto raccomandato! C 4,4)

“…se poi qualcuno farà di più…”

            Se c’è un’icona – suggerisce P. Bruno – sottesa a questa formula sintetica di vita, come un fiume carsico, che corre sotterraneo ed emerge apertamente solo alla fine del suo percorso, è la parabola del Buon Samaritano, tanto più se si  ascolta l’assonanza della versione latina che usava Alberto: si quis autem supererogaverit, ipse Dominus, cum redierit, reddet ei. Cioè: se qualcuno avrà dato qualcosa in più,… il Signore stesso glielo restituirà, al suo ritorno. Ma non è forse proprio il Samaritano, colui che, pur provenendo da origini razziali e religiose inaffidabili, a fronte dell’indifferenza dei “religiosi ufficiali”, che “passano oltre”, dà invece una risposta alternativa alla violenza tendenzialmente omicida del ladrone aggressore? E “cambia le armi”, rispetto al suo tradizionale nemico, usando olio e aceto, soldi e interessamento…

            C’è una curiosa e originale inversione di ruoli e identità, nella suggestione di Alberto, rispetto alla dialettica interna della parabola evangelica. Gesù è “il buon Samaritano”, che restituirà (ricompenserà) il “di più” speso; noi siamo “l’oste” delle locande monastiche, disseminate sulle strade del mondo; “il ferito” è l’umanità da soccorrere e accudire con affetto e carità creativa, per inventare “qualcosa in più”, nei vari secoli e nelle varie culture.

            E ciò che nei secoli abbiamo inventato sarà una sorpresa per il Signore stesso, quando tornerà!

            La ricerca entusiasta di totale dedizione al Signore Gesù, che anima tutta la Regola, non poteva che concludersi così: al di là di ogni regola e confine, dove il rapporto misterioso ed irrepetibile di ognuno con Lui, nel succedersi delle vicende e delle generazioni, apre orizzonti… “ulteriori” di fedeltà ed invenzione. Così che, con stupore e riconoscenza, dopo tanti secoli, ammiriamo la processione di donne e di uomini, che nutriti da questa norma di vita, sono andati oltre… nei sentieri della storia, e ci hanno insegnato la  passione di rivivere nell’oggi le antiche parole.

Noi… oggi!

            Il P. Generale, P. Luis, ci ha riportato alla consapevolezza “dell’essenziale”, su cui l’Ordine ha puntato l’attenzione, preparando da anni il recente Capitolo Generale (2003). Due sono i progetti che vorremmo realizzare e sviluppare: la comunione tra noi e  l’esperienza di Dio come esperienza della dignità della persona umana. Perché la comunione tra noi comprende l’esperienza di Dio come esperienza della dignità dell’uomo.

            La consapevolezza nuova di donna e di monaca che spinge Teresa a inventare nuovi rapporti con Dio, con le sorelle e con il mondo in fiamme, giunge alla sua piena maturazione e consapevolezza, pur se espressa in questo linguaggio “conciliare”.

Ma i nemici invisibili e potenti

            Ma “le forze di divisione ben più agguerrite e potenti, dominatori misteriosi di questo mondo” (Ef 6,12), di cui parla Paolo sono al lavoro. Subito dopo la morte della S. Madre sono emersi nel gruppo di religiosi a lei ispirato, conflitti drammatici causati da una diversa percezione del carisma, culminata con l’espulsione del P. Gracian. Proprio colui che per S. Teresa era il carmelitano ideale, che viveva in equilibrio le diverse componenti del carisma: preghiera e cultura, apertura alla chiesa e al mondo intero, equilibrio tra azione e contemplazione, rapporto privilegiato con le monache… L’Ordine ha sofferto questa ferita d’origine, che ne  ha segnato la storia, e ne porta ancor oggi le sue conseguenze.

            La direzione o l’orientamento deve rimanere verso orizzonti grandi, quelli della S. Madre e del S. Padre, riassumibili oggi con nuove parole, a cui la chiesa ci sospinge da tempo: per riscoprire il ruolo del Carmelo nella chiesa e nel mondo, come luogo dell’incontro con Dio e dell’annuncio evangelico della dignità dell’uomo.

            “La contemplazione non è occuparsi solo di Dio e non della storia: il vero contemplativo è tale rispetto a Dio e rispetto al mondo, all’uomo e alla storia. E’ un modo di essere, vedere, sentire… portare il mondo nel cuore, come lo porta Gesù – al Padre” (P. Luis).

Tratto da:

ALLE RADICI DEL CARMELO”

Corso del 2004 a Cassano V.

Relatori

Padre Secondin – padre Generale Arostegui – padre prov. Bettati Giuliano