IL MONTE CARMELO

            Che cosa è il Carmelo e chi sono i Carmelitani? Per rispondere a questa domanda bisogna risalire lontano nel tempo. Già il termine “Carmelo” ne svela un po’ la provenienza. Occorre dire innanzitutto che il Carmelo è una montagna, o meglio una catena montuosa che si estende dal mare vicino ad Haifa e penetra verso l’interno del territorio di Israele per circa trenta chilometri. Numerose sono le grotte naturali che vi si trovano, circondate da una vegetazione lussureggiante grazie alla rugiada molto abbondante dei mesi estivi.

            Il luogo si prestava dunque ad un insediamento di eremiti che, avendo silenzio attorno e possibilità di procurarsi il cibo facilmente, cominciarono ad abitare sulle pendici di questa montagna verso la fine del 1100.

            Il fascino esercitato da essa però, non è solo naturale, ma essendo un monte molto significativo nel mondo biblico è amato e venerato da ebrei, cattolici e musulmani.

            Particolarmente legato ad esso è il ricordo del profeta Elia. La sua figura ispirerà il modo di vivere dei primi eremiti e sarà sempre per i Carmelitani un modello fondamentale.

            Nella Bibbia il monte Carmelo appare citato parecchie volte:

– nel libro di Giosuè (19,26) compare come una parte del confine dei vari territori distribuiti alle dodici tribù di Israele.

– Nel primo libro dei Re (18,20-46) viene descritto un episodio famoso cioè la sfida di Elia ai sacerdoti di Baal, con la strage di questi ultimi.

Qui Elia compare come il difensore dell’unico Dio di Israele. Dopo la strage, Elia predice l’arrivo della pioggia che veniva a sanare il paese dopo un lungo periodo di siccità.  Egli vede una nuvoletta, come una  mano d’uomo che sale dal mare e che porterà la pioggia abbondante tanto desiderata. La tradizione del Carmelo ha visto in questa “nuvoletta” la Vergine Maria che si “eleva dal mare del peccato” e reca Gesù, “la pioggia delle grazie”.

– Nel secondo libro dei Re (1,9-11) si può vedere come Elia è su questa montagna quando i servi di Acazia lo vanno a cercare.

            Non solo Elia dimora spesso sul monte Carmelo, ma anche il profeta Eliseo. Lì infatti, lo trova la donna Sunammita che lo cerca per chiedere a lui il miracolo della resurrezione del figlio morto.

– Il Carmelo è anche largamente usato nella Bibbia come termine di paragone per indicare la bellezza (Cantico 7,6), l’abbondanza (Geremia 50,19), la benedizione (Isaia 35,2); o anche descrivendone la desolazione come il massimo della sventura che può capitare.

– Senza una precisa citazione, il Carmelo è legato anche a Maria perché vicino ad esso si trova la città di Nazareth.

– Anche san Giovanni della Croce nel libro “Salita del monte Carmelo” lo usa come simbolo. Egli traccia un itinerario spirituale per salire alla vetta di questo monte che diventa il simbolo di Cristo. Per arrivare in vetta, dove “regna soltanto l’onore e la gloria di Dio”, occorre passare attraverso lo spogliamento e la rinuncia (il nulla) e solo dopo questo arido cammino si giunge in vetta dove ci è dato il Tutto.

I PRIMI EREMITI E LA FORMULA DI VITA

            Su questa montagna densa di significato si erano dunque riuniti in maniera spontanea al tempo della Terza Crociata (1189-1192) alcuni uomini che vivevano in penitenza, pellegrini ed ex-crociati che desideravano vivere nella terra che apparteneva a Cristo, seguendolo nella solitudine e nella preghiera. Essi formavano un gruppo non inquadrato nelle strutture monastiche allora esistenti, non possedevano una chiesa o una denominazione con la quale essere designati.

            Ben presto questi eremiti sentirono la necessità di una norma scritta che codificasse le loro usanze consolidate. Tra il 1206 e il 1214, Alberto, Patriarca di Gerusalemme, elabora per loro una “formula di vita” che risponde al loro bisogno. La lettera di Alberto significò il riconoscimento ufficiale da parte del vescovo soprattutto per il fatto che l’invito a costruire un oratorio in mezzo alle celle era per quei tempi uno dei requisiti necessari per essere riconosciuti come entità religiosa. L’oratorio venne dedicato alla Madonna, “la Signora del luogo” per cui gli eremiti furono conosciuti come “fratelli della Beata Vergine Maria del monte Carmelo”. Questo è molto importante perché secondo la mentalità feudale, il santo patrono era il signore del gruppo e sotto la sua bandiera i membri si impegnavano nella lotta spirituale e difendevano gli interessi temporali della loro associazione.

IL PROGETTO VITALE

            Guardiamo ora un po’ più da vicino come vivevano questi laici. Per fare ciò basta seguire la “formula di vita” o “Regola” data da Alberto di Gerusalemme.

            Anche se non si conosce con certezza il testo originale di Alberto, ma solo quello approvato più tardi dai Papi, tuttavia esso contiene delle indicazioni che riguardano una realtà che già gli eremiti vivevano ed anche un ideale a cui tendere.

            La Regola non è un testo con norme che fissano nei minimi particolari ciò che si deve o non si deve fare pur avendo anche norme concrete. Soprattutto contiene indicazioni sul modo di creare e conservare un ambiente adatto alla contemplazione. Intende cioè formare persone che, innamorate di Dio, vivano per Lui solo, a servizio gli uni degli altri, dei poveri e della Chiesa.

            Gli eremiti laici vivono insieme, ma ognuno nella propria cella, hanno un superiore che viene eletto dalla comunità e a cui tutti prestano obbedienza.

            La cella del Priore è situata all’ingresso delle abitazioni, perchè quelli che vengono siano da lui accolti.

            Meditare giorno e notte la Parola del Signore e vegliare in preghiera è il nucleo principale della vita di questi eremiti.

            Come per tutti i monaci antichi e i padri del deserto, la preghiera doveva essere incessante. Oltre alla recita dei salmi, anche durante il lavoro e il resto della giornata, l’invito era quello di avere sempre il cuore in tensione verso Dio, centro della loro esistenza. Possiamo immaginare che anche durante le varie occupazioni usassero le cosidette “giaculatorie”, che oggi fanno magari sorridere, ma che intese nel loro profondo significato di “lanci” brevissimi di parole di amore, esprimevano l’incontenibilità della passione per Dio e alimentavano il desiderio della sua presenza.

            I singoli eremiti non possedevano nulla di proprio, ma tutto era comune  e per le necessità di ciascuno provvedeva un fratello incaricato dal Priore. La comunità poteva possedere qualche animale per il trasporto e per altre necessità.

            Gli eremiti si riunivano ogni giorno per ascoltare la messa e in altri momenti, soprattutto la domenica, si trovavano insieme per ascoltare le esortazioni del Priore e per parlare di quanto era opportuno fare per il cammino spirituale della comunità; si prendevano decisioni e venivano corrette le mancanze eventualmente commesse. Il trovarsi insieme e il guardare al bene del proprio fratello e della comunità, aiutava questi laici a vivere in profondità la vita secondo il Vangelo.

            Oggi noi viviamo in un mondo in cui facilmente ci vengono buttati in faccia i nostri difetti e di questo ci innervosiamo parecchio, al punto da rompere i rapporti con le persone che ci criticano. Questi uomini del passato, nutriti dalla Parola di Dio, sapevano che le critiche e le “maldicenze” nei loro confronti potevano contenere una parte di verità e che certi nostri difetti e modi di comportamento sono visti meglio dagli altri che da noi stessi. Anche noi, come loro, possiamo sfruttare questa “vista più profonda” degli altri per interrogarci sui nostri comportamenti, modi di pensare, abitudini.

            Tornando alla vita dei nostri eremiti, bisogna aggiungere che osservavano il digiuno dalla festa dell’Esaltazione della Santa Croce -14 Settembre- alla domenica di Pasqua e si astenevano dal mangiare carne.

            Il lavoro serviva per il sostentamento della comunità e per aiutare i poveri. Inoltre era visto come mezzo di ascesi e di preghiera. Molte volte, per la durezza del lavoro, sappiamo offrire al Signore solo la nostra stanchezza, che diventa anche più preziosa delle parole di preghiera. E’ un invito anche per noi, affinchè mettiamo tutte le nostre energie nel lavoro che compiamo senza svalutarlo  per quanto possa essere ripetitivo e banale.

            Il silenzio era raccomandato per creare una possibilità di ascolto nei confronti di Dio che parla. Il vero silenzio nasce da dentro quando cioè, sgombri da tante distrazioni, ci ritroviamo silenziosi perchè in armonia con noi stessi e con Dio, nasce come necessità in chi è innamorato.

            La Regola non stabiliva un abito particolare, sembra comunque che gli eremiti vestissero una tunica di lana non tinta, con cintura, scapolare e cappuccio, sopra i quali indossavano un mantello a strisce bianche e nere.

MESSAGGIO PRATICO DEI PRIMI CARMELITANI

            La Regola dunque, ci ha dato la visione di quali siano stati i valori vissuti all’origine dell’Ordine Carmelitano, valori che possono essere vissuti da tutti: frati, monache, laici, anche se con modalità diverse a seconda della vocazione di ognuno, ma con una totalità di impegno richiesta a tutti.

            Tutti, come battezzati e figli di Dio, siamo chiamati a cercarlo con tutte le nostre forze, a vivere in intimità con Lui, con lo stesso tipo di rapporto che esiste in una famiglia e siamo chiamati a riconoscerlo nel fratello che ci sta accanto. Chi infatti ci vive vicino è figlio di Dio come noi e nostro fratello e tutto ciò che gli facciamo – in bene o in male – è come se fosse fatto a Dio, a questo Dio che noi diciamo lontano e invisibile, ma che è invece vicino e prossimo a noi nelle persone che incontriamo.

            Come cristiani non possiamo mai permetterci di aderire ad una cultura di esclusione, basata sull’idea che i nostri problemi possono essere risolti affidando solo a pochi la gestione della società ed escludendo tutti coloro che, avendo interessi e idee diverse, sono considerati come elementi di disturbo. La cultura dell’esclusione tende a “semplificare” la società eliminando – addirittura fisicamente a volte – le diversità. Occorre invece – come questi eremiti del Monte Carmelo – assumere una cultura di condivisione, dove ci sia posto per tutti; e perciò ci si sottometta volontariamente a regole comuni, si rispetti chi non fa parte del proprio gruppo (sociale, geografico, di età ecc.), si tenga conto della complessità delle cose, convinti che l’unico modo cristiano di vivere è quello di condividere con gli altri.

NUBI ALL’ORIZZONTE

            Ottenuta la Regola da parte di Alberto, si può pensare che gli eremiti del monte Carmelo potessero vivere in pace la loro vita. Purtroppo due grossi eventi vengono a minacciare seriamente la loro esistenza.

            Il primo di questi è il fallimento delle Crociate che non lasciava presagire una fine felice per i cristiani della Terra Santa. La pace firmata con i Saraceni si dimostrava precaria e le loro incursioni seminavano distruzione e morte. La presenza cristiana in Terra Santa si ebbe fino al 1291 circa, quando gli arabi assediarono e distrussero la città di Acri. Da lì partirono alla volta del monte Carmelo dove incendiarono il convento e trucidarono i monaci. Secondo la cronaca, probabilmente apocrifa, attribuita al carmelitano Guglielmo di Sandwich, gli ultimi momenti dei frati sono così descritti: “I Saraceni devastarono completamente la città di Acri e il bel convento di quest’Ordine – dei carmelitani – che vi si trovava. Di là essi partirono per il non lontano monte Carmelo, salirono, distrussero il monastero dei frati della Beata Vergine Maria del Monte Carmelo con il fuoco e passarono a fil di spada tutti i frati che vi si trovavano, i quali morirono al canto della Salve Regina”.

            Il problema di abbandonare il monte Carmelo per tornare in Europa era già stato discusso dagli eremiti degli inizi. Già nel 1246 il papa Innocenzo IV aveva scritto: “Le incursioni degli infedeli hanno obbligato i nostri amati figli, gli eremiti del monte Carmelo a lasciare, non senza grande dolore da parte loro, quelle terre per passare in Europa”.

            Questa decisione di passare in Europa non fu presa senza dover affrontare forti tensioni all’interno del gruppo degli eremiti. Non tutti erano d’accordo di dover lasciare la Terra Santa, perchè per alcuni di loro era un problema di fedeltà, per altri era questione di legalità. Occorre tener presente che vivevano nella Terra Santa, feudo di Cristo, che egli aveva conquistato con il suo sangue e al cui servizio gli eremiti avevano promesso di dedicare la vita. Cristo era il “Signore del Luogo” e loro   i suoi servi e, come tali, vincolati alla terra per sempre.

            Un intervento di Maria in favore della migrazione in Europa risolse il conflitto e i primi eremiti si spostarono in Europa attorno all’anno 1238.

            Negli anni seguenti sempre più numerose furono le fondazioni di nuovi conventi in Europa. L’ultima notizia certa della presenza dei Carmelitani sul monte Carmelo risale al 1283.

            Burcardo del monte Sion – un domenicano che risiedette per molto tempo ad Acri – visitò in quell’anno i religiosi del Carmelo e scrisse: “A sinistra di Haifa, dopo una lega lungo la strada che porta al Castello dei pellegrini, sul monte Carmelo c’è la grotta di Elia, il luogo dove abitava Eliseo, e la fontana dove una volta vivevano i figli dei profeti e ora stanno i frati del Carmelo. Io sono stato là insieme a loro”.

            Il secondo avvenimento che minacciava la sopravvivenza dei Carmelitani fu un provvedimento preso dal Concilio Lateranense IV (1215). Tale provvedimento stabiliva di limitare la proliferazione dei gruppi religiosi che sorgevano spontaneamente, spesso fuggendo al controllo del vescovo  e a volte sospetti di eresia. Il metodo scelto per fare ciò fu quello di incanalare i movimenti nelle strutture ecclesiatiche già esistenti che seguivano la Regola di San Benedetto o di Sant’Agostino. La Regola data da Sant’Alberto e seguita dai Carmelitani appariva perciò sospetta. Il carmelitano Siberto di Beka, descrivendo alcuni decenni più tardi quella situazione, scrisse in proposito: “Alcuni prelati della Terra Santa, dove è situato il monte Carmelo, incominciarono ad attaccare i frati del nostro Ordine come se fossero in contrasto con la proibizione del concilio o come se non avessero una regola approvata”. Così i Carmelitani fecero il possibile per far approvare la regola ricevuta da Alberto.

            Nel 1226 papa Onorio III riconosce la Regola, concedendo a chi la osservava, l’indulgenza. Questo intervento però non era sufficiente, così nel 1229 papa Gregorio IX confermò la Regola di Sant’Alberto in forza dell’autorità pontificia. Negli anni seguenti al passaggio in Europa – dove incontrarono la diffidenza del clero diocesano e dei vescovi -, si avvertì il bisogno di apportare alcune modifiche alla Regola date le nuove esigenze ambientali e le diverse condizioni di vita. Nel 1247 Innocenzo IV in una lettera pontificia approvò il testo modificato dalla Regola.

            E’ però soltanto con il papa Onorio IV, il quale capovolse la politica dei suoi predecessori e favorì invece i piccoli ordini religiosi, che i Carmelitani poterono considerarsi non più minacciati nella loro esistenza, infatti, insieme a Serviti e Agostiniani, nel 1286 vennero posti sotto la protezione papale.

Tratto da:

TERESA DE JESUS

a cura delle carmelitane scalze di Legnano

anno 2015